Le diverse evoluzioni della messaggistica tra cellulari e dispositivi elettronici di vario tipo
hanno raggiunto livelli difficilmente immaginabili alcuni anni fa.
L’utilizzo di WhatsApp, Telegram e simili risorse è certamente uno strumento utile,
aumenta le possibilità di relazioni e di rimanere in contatto con le persone che ci circondano
in ogni momento della giornata, a prescindere dal luogo in cui ci si trova. Inoltre è molto
semplice e utile per l’organizzazione di incontri o di eventi mediante la possibilità di creare
gruppi ad hoc, sia per il tempo libero che per il lavoro. Tale utilizzo è cresciuto moltissimo
negli anni della pandemia e costituisce ormai comunemente un supporto sociale in momenti
di solitudine, se voluto dalla persona, non di meno è gratuito, e perciò maggiormente
fruibile. Permette di inviare foto, audio, immagini, oltre chiaramente al testo, con cui
condividere significati con chi si vuole, quando si vuole.
Purtroppo tali preziosi strumenti hanno una doppia faccia: oltre alla facilità e rapidità di
utilizzo, la presenza sociale, il divertimento di condividere con gli altri varie tipologie di
contenuti e il vantaggio economico, c’è il lato oscuro di tali strumenti, un lato che,
ispirandoci ad alcuni autori che se ne sono occupati in questi ultimi tempi tra i quali Floridi,
Bostrom (più critico), Kurzweil (più ottimista) e altri più specialistici, possiamo affermare
che sia corrispondente a un disagio e ad una compressione della sfera delle capacità
relazionali, emozionali e più in generale mentali.
Una significativa parte del nostro tempo di vita, privato o lavorativo, viene passato
scrutando il cellulare, sperando di vedere che, in nostra assenza, il numero di messaggi in
attesa di essere letti siano diversi da zero. Questo fornisce una percezione di quanto le altre
persone ci hanno cercato, desiderato, o hanno voluto condividere con noi qualcosa. Tale
attesa o curiosità di controllare quasi costantemente i messaggi in arrivo, può depotenziare
un’altra nostra capacità, ovvero l’attenzione verso cosa stiamo facendo, sia in ambito
lavorativo che in ambito relazionale (nel mondo reale). Tutto questo influenza quindi sia la
nostra capacità di concentrazione, ma soprattutto quella di reale interesse nel rapporto con
l’altro, di vero ascolto e condivisione, che attualmente viene sovente interrotto per scrutare
l’altro mondo, quello virtuale.
Quando si inviano contenuti, strumenti come WhatsApp permettono di monitorare lo stato
dei nostri messaggi: se inviato, arrivato al destinatario e visualizzato dal destinatario.
Quando il messaggio risulta visualizzato e subito arriva la risposta, nessun problema. Ma
cosa succede se la persona a cui abbiamo scritto non risponde? I sentimenti più comuni sono
quelli di rabbia, ansia e frustrazione, dati dall’insicurezza personale e dal dubbio su cosa
stia effettivamente facendo l’altra persona, dove si trovi e con chi. Ciò dipende anche dal
fatto che siamo assuefatti ad una comunicazione immediata e perciò il tempo di attesa, di
accettazione di una risposta, si abbassa vorticosamente, fino quasi a pretendere un’azione
immediata di risposta. Forse è questa una delle cause della crescente situazione di
aggressività, verbale e non verbale, che si manifestano in questo proliferare di chat tra
genitori e alunni della nostra Scuola.
Abbiamo dovuto prendere l’iniziativa di alcuni provvedimenti anche drastici per limitare
l’aggressività crescente nelle nostre classi, contattando più volte le autorità preposte a
tutelare la nostra sicurezza per comportamenti sconsiderati e pericolosi messi in atto da
minorenni che a volte seguono il pessimo esempio dato dalle loro famiglie.
Ci giunge poi notizia di aggressività crescente nelle sempre più pericolose chat tra genitori,
in cui la comunicazione vera e sincera viene sostituita da insinuazioni, allusioni, uso di
parole intrise di violenza e discriminazione nei confronti dei più deboli.
Personalmente sarei felice del superamento di tali modalità alquanto primitive di relazione,
in favore di incontro e scambio di sguardi e parole al posto di algidi messaggi colorati da
infantili emoticon, risibili se utilizzate da adulti che dovrebbero essere d’esempio ai loro figli.
Non serve eliminare l’utilizzo di queste e delle altre messaggerie istantanee, demonizzare
l’utilizzo del cellulare o lamentarsi passivamente di come le relazioni con gli altri siano
cambiate. E’ però necessario da parte di tutti comprendere che oltre a una relazione che
ormai sfiora il patologico con il telefono cellulare siamo circondati da un mondo reale, un
mondo fatto di persone che ci invitano a una vita reale di interazioni non istintive o gestuali,
ma di parole e vere emozioni, un mondo che ci invita a una vita attiva e sociale, condivisa
con gli altri, magari anche riflettendo sul fatto che anziché reagire in modo istintivo o
rabbioso a una notazione fatta da un docente, un compagno di classe, un genitore, un adulto,
una persona in generale, ognuno di noi ha l’obbligo di ascoltare se stesso, valorizzando
anche momenti di sana solitudine.
Dipende da ognuno di noi creare e mantenere un soddisfacente livello di comunicazione e
di contatto con gli altri, integrando un uso consapevole, limitato alla sua effettiva necessità
e il più possibile razionale dello smartphone con la bellezza della quotidiana relazione con le
persone che compongono la trama di relazioni di cui è costituito il nostro mondo reale.
Il Dirigente Scolastico
Prof. Giovanni Cogliandro